18 gennaio 2013

Myspace, a volte ritornano.

Forse un po' indaffarati a seguire il turbinio evoluti dei social network, consolidati, nuovi e nuovissimi, e delle loro declinazioni su diverse piattaforme (mobile, web), non tutti ricordiamo che, agli albori delle reti sociali, a contendersi gli utenti con Facebook c'era il (disastroso) Myspace, la piattaforma social fortemente incentrata sulla musica, allora gravitante nella galassia News Corporation, di proprietà del tycoon Rupert Murdoch. Stiamo parlando di sei o sette anni fa, eppure sembra (quasi) preistoria. Ai tempi, invitato da alcuni amici musicisti semiprofessionisti che cercavano di promuovere la propria musica in rete, mi ero iscritto ed avevo curato un profilo. Sia detto per chi, allora, non frequentava Myspace: era un incubo. Sul serio: gli utenti potevano personalizzare la home page del proprio profilo inserendo codici e template HTML in un editor WYSIWYG, con risultati tra il caotico e lo stucchevole ma sempre, sistematicamente, contrari alle elementari regole di accessibilità, leggibilità e navigazione. Un marasma. Gigantesche icone animate e sfondi "fantasy", testi con font tipografici scuro su scuro, player che riproducevano in automatico loop musicali, slideshow che invadevano diverse sezioni della pagina.

Poi, il meccanismo "social": per la serie, tutti amici di tutti. Era la gara a chi invia e riceveva più "add" (ovvero aggiungere utenti come amici al proprio profilo). Pure io, che sono un po' orso, avevo centinaia di "amici". Ne conoscevo una piccola porzione, e la maggior parte erano profili di rockband mantenuti da webmaster che aggiornavano, di rado, un bollettino delle news.  Anche lo stream era caotico, più che altro un susseguirsi di messaggi e commenti. E dire che, negli stessi mesi, le funzionalità social di Facebook stavano evolvendo e si stavano consolidando. Purtroppo, come noto, il web non ha memoria, ma per un utente il confronto era abbastanza evidente. Ricordo perfettamente che circolava, in quei mesi del 2006, un brillante quanto mai provocatorio articolo in cui si sosteneva, senza tanti giri di parole, che negli USA gli utenti medi di Myspace erano prevalentemente neri o ispanico-americani, di reddito medio basso, con un titolo di studio di scuola superiore e con impieghi di profilo non elevato, mentre chi usava Facebook quotidianamente poteva essere descritto come il tipico studente bianco di famiglia benestante, iscritto al college. Non ho trovato l'articolo originale, ma questo contributo relativamente recente ne riprende in sostanza alcuni dei concetti. Utile, anche se datato, questo articolo che confronta i principali social network nel mondo (al 2009). Tutti d'accordo, invece, nel sostenere che Facebook abbia imparato molto dagli errori e dalle mosse "ingenue" di Myspace, proponendo un template pulito, funzionalità più immediate, migliore gestione della rete di contatti. Errori che a Myspace e al suo finanziatore, sono costati moltissimo; ma chi ha pagato il prezzo più elevato sono stati i moltissimi dipendenti licenziati a Los Angeles nel 2009 nel momento di crisi più profonda. Proprio in quelle settimane, sul popolare social network Reddit, di cui ho parlato in un mio precedente articolo e che oggi tutti conoscono per la drammatica fine di Aaron Swartz, uno dei suoi fondatori, sono stati pubblicati interventi di giovani sviluppatori che avevano appena ricevuto la lettera di licenziamento e le due settimane di paga, e che passavano il tempo nella caffetteria aziendale o a cercare un nuovo lavoro. In quel trambusto spuntò il cantante, attore e produttore Justin Timberlake che, forse troppo ricco da non sapere come spendere i propri soldi, decise di investire una cifra gigantesca per rilanciare la piattaforma. Senza esiti brillanti, ad essere sinceri. Insomma, anche il business model che stava dietro (la promozione di nuovi talenti musicali alla ricerca di una label e di un contratto) ha funzionato per poco, e non credo abbia prodotto una grande ricchezza. Poi, per Myspace, l'oblio, contrapposto al successo di Facebook, alla sua quotazione in borsa, alla nascita di altri nuovi micro social network, alle strategie dei grandi player del web e dei servizi mobili. Premessa un po' lunga ma doverosa. Perché, come tutti avrete letto, nelle scorse ore ha fatto nuovamente la propria comparsa sulle scene un redivivo Myspace. Piccole furbizie di marketing: il lancio è avvenuto in contemporanea con l'uscita dell'ultimo singolo del suo proprietario, la cui foto campeggia sulla home page; inoltre, per gli utenti più tradizionalisti, è presente un pulsante che apre la vecchia versione di Myspace.





 L'accesso al servizio, superfluo dirlo, è abilitato da: -  username e password dei vecchi account Myspace, se uno se le ricorda (e se funzionano: io ho provato ma il mio utente risultava sconosciuto) -  una nuova registrazione -  connettori sociali: Twitter connect e Facebook connect, più arricchimento del profilo con un po' di dati personali, preferenze e descrizioni. Ho optato per Twitter connect.





Finita la procedura di registrazione, finalmente si alza il sipario sul nuovo Myspace che, ad onor del vero, è completamente diverso dalla vecchia versione. Ci accoglie una grafica pulita ed essenziale, un menu chiaro sulla sinistra e una descrizione abbastanza esaustiva delle nuove funzionalità.

  

Già dalla registrazione, ma anche leggendo i commenti pubblicati in queste ore, emerge subito l'approccio orientato alla musica di questo redivivo social network: in basso è sempre presente una barra funzionale con i comandi di un player musicale, segno che la promozione di musica è ancora al centro degli interessi della piattaforma.

 

Insomma, tutto sembra al suo posto, finalmente: la grafica, l'integrazione, le funzionalità, i percorsi guidati. Ma, come fanno notare alcuni, il grande ostacolo che Myspace dovrà superare è il tempo: Myspace arriva tardi in tutti i sensi: tardi rispetto agli altri social network che realizzano meccanismi di retention sempre più raffinati ed offrono strumenti di business molto sofisticati (big data, profiling ecc), tardi rispetto ai nuovi competitor che si contendono nicchie di utenti (vedi Pinterest), ma anche tardi rispetto al paradigma stesso del social network che, nell'anno dl Signore 2013, hanno ampiamente raggiunto il hype del loro ciclo di vita e devono attrezzarsi per evolvere. Facebook lo sta facendo, cercando di competere nel segmento dei motori di ricerca; il vantaggio competitivo di Twitter è insito nel suo meccanismo fortemente asimmetrico e nell'immediatezza del messaggio; altri microsocial offrono funzionalità di nicchia o verticali molto gradite (ad esempio Instagram). Poi c'è chi prova ma forse non riesce: è il caso di Microsoft So.cl, di cui ho scritto qualche tempo fa (siamo sinceri: chi lo usa?). E' questo il contesto in cui Myspace dovrà dimostrare la validità del suo modello e la potenzialità delle sue funzioni, soprattutto quelle legate alla distribuzione di contenuti multimediali originali. La partita è aperta.

Articolo pubblicato su Voices

21 dicembre 2012

.the end.

Speravo che l'annus horribilis (sono così tanti che ormai si confondono l'uno con l'altro) terminasse con qualcosa di più intelligente dei dibattiti sui Maya (oggi tutti i giornali, blogstar, Twitstar e compagnia scrivono di non aver mai creduto alla profezia) e del nuovo boyfriend di Nicole Minetti. Malnata ingenuità.

14 dicembre 2012

Rock vs Hip Hop. Fate voi.

Prima vedo e ascolto questo


poi in TV e in radio e sul web passa, acclamato come la rivelazione musicale dell'anno, questo


Io ci vedo un delinquente incolto e nemmeno troppo intonato che sputa una sequela di luoghi comuni e volgarità, senza alcun talento né merito.

Mi perdonerete se non riesco proprio ad apprezzare la maggior parte del rap e dell'hip hop.

13 dicembre 2012

Cut me some slack, una performance inascoltabile.

Se anche per voi i Nirvana erano sostanzialmente questo


converrete con me che certe operazioni necrofile, aggravate dalla presenza di Sir Paul (il motivo caritatevole non è un'attenuante), non possono che portare a disastri come questi


Scendiamo nei dettagli? E' davvero una delle poche volte in cui Macca suona far schifo e, ciò che è peggio, contagia tutti: Smear, che a suonare era bravino, sembra un adolescente in sala prove; Grohl è scoordinato; Novoselic... be', Novoselic non ha mai saputo suonare, però aveva i capelli l'ultima volta che ho rivisto il VHS Live Tonight Sold Out.
Volete rinfacciarmi di essere rimasto avvinghiato con unghie e denti al metal degli anni '80 e al rock degli anni '90?

26 novembre 2012

Alice Munro, Troppa felicità.

Quando mi regalano un libro, specie se a regalarlo è un caro amico, il mio cuore di lettore si riempie di aspettative con cui riesco quasi a mettere da parte il mio ormai radicato (ma pur sempre sradicabile, basta volerlo) sospetto nei confronti della narrativa contemporanea, e in particolare dei racconti.
Non voglio qui soffermarmi sui motivi che mi hanno da tempo spinto ad abbandonare la fiction in favore della saggistica: si dica solo che, come sovente accade, i miei sospetti su certe tare della narrativa contemporanea (quel sapore di "già letto, grazie" e "siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?") si rivelano non privi di fondamento allorquando giro l'ultima (più spesso la terzultima) pagina di un romanzo o di una raccolta di racconti.
Ma torniamo a Troppa felicità. Le prime pagine, fatalmente, mi catapultano indietro di alcuni anni, ai primi racconti di McEwan, un autore che ho divorato e amato fortemente ma che ultimamente non riesce più a stimolarmi; anzi, ad essere sinceri, sembra proprio una scopiazzatura del primo McEwan. Gli ingredienti ci sono tutti: personaggi ambigui, atmosfere cupe al limite del grottesco e, rullo di tamburi, un lieve senso di disagio nel procedere con la trama. Voilà: è sufficiente levare un istante gli occhi dalle pagine, ad onor del vero scorrevolissime, per essere persuasi di un fatto: il racconto che sto leggendo è un pretesto per creare una sensazione di imbarazzo, ansia e disagio nel lettore. Quasi un compitino da corso di scrittura creativa: non importa che succede riga dopo riga, ben poco valore hanno la psicologia e i tratti dei personaggi. La Munro riesce ad ottenere l'attenzione del lettore e a coinvolgerlo ma, al contempo, a creare un lieve ma persistente stato di ansia, quasi di fastidio.
Torniamo a McEwan. In questo genere è stato un maestro; non voglio dire uno dei primi ma, diamine!, rileggiamoci Primo amore, ultimi riti o Racconti fra le lenzuola o anche il romanzo breve Cortesie per gli ospiti (titolo magnifico sputtanato da quella congrega di lavativi della TV) o il capolavoro Il giardino di cemento: tra quelle pagine, di ansia, claustrofobia e angoscia ce n'era da portare via con il rimorchio, ma stiamo parlando di lui e di alcuni anni or sono. Già letto, grazie.
Sempre nel genere, è gradevole Bambinate, novella crudele e credibile, scritta bene ma conclusa in fretta. Peccato.
Non si sollevano di molto gli altri racconti: anzi, alcuni sprofondano nel parossismo o si trascinano inutili e sinceramente inconcludenti come Troppa felicità, farraginosa e dispersiva ricostruzione degli ultimi anni di vita di una matematica russa. Siamo sicuri che ce ne fosse bisogno?
L'intento di questa scrittrice era ed è probabilmente, come potete leggere nelle tante entusiastiche recensioni pubblicate in rete, quello di tracciare con maestria e abili pennellate un quadro impietoso delle nostre esistenze in tutte le loro sfumature e blablabla. Ma non funziona. Così come suona un po' patetico il tentativo di un'americana (anzi, meno: di una canadese) di sfoggiare una cultura "classica": ma l'approccio è goffo (da osteria la vulgata di Platone) e il risultato è più da Wikipedia che da liceo classico.


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Scheda del libro
Alice Munro, Troppa felicità.
2011, Einaudi Supercoralli
pp. 332
€ 20,00
ISBN 9788806200787
Traduzione di Susanna Basso

04 novembre 2012

Lo strano caso della palestra Sport Village, Torino.

Forse avrei dovuto insospettirmi maggiormente quando, alla mia richiesta del perché  l'acqua della doccia fosse fredda, un pomeriggio dello scorso luglio mi sono sentito rispondere, con candore: "E' fredda perché  abbiamo portato via le caldaie", come se tutti, prima o poi, nella propria vita, dovessero almeno una volta portare via una caldaia da un luogo dotato di spogliatoi e docce.

Ma partiamo dall'inizio, altrimenti chi legge non capisce nulla.
Immagine La Stampa
copyright La Stampa
La palestra Sport Village l'avevo scelta per allenarmi nel gennaio 2010, rientrato a Torino dopo 18 mesi vissuti a Venezia, per due motivi semplici: luogo (sulla strada tra ufficio e casa) e possibilità di parcheggio. Intendiamoci, c'era qualcosa di più. Era (adesso vediamo perché  uso il passato) una struttura discretamente attrezzata, molto spaziosa, recente (il che significa, in genere, meno muffa sulle pareti degli spogliatoi) e maschia. Si', maschia: una sala pesi che trasuda testosterone, pile di Muscle&Fitness vecchi di quindici anni e gente piuttosto ipertrofica: insomma, non un health club da fighetti, ma il posto giusto se hai voglia di allenarti senza perderti in chiacchiere.

Ed era un posto giusto. Tant'è  che per 3 anni ho rinnovato l'abbonamento annuale: 2010, 2011 e tutto il 2012, con scadenza, se ben ricordo, a gennaio 2013.

Ora, non voglio dire di essere un cliente fondamentale e nemmeno, con i miei 65 kg di peso, un testimonial efficace dell'immagine di Sport Village in giro per il mondo; ma un cliente si', pagante e per giunta in anticipo.
Per un paio di anni, anzi diciamo due e mezzo, le cose sono andate bene, anche se talvolta si verificavano cambiamenti. Negli attrezzi, ad esempio: apparivano e sparivano o venivano spostati, ma alla fine quelli che servivano c'erano, e quindi non ho mai fatto domande in giro. Anche negli allenatori, negli allenati e nel personale di segreteria e del bar; ma, lo ripeto, sono di poche parole e che il caffè lo facesse Tizio o Caio a me cambiava poco perché un caffè, al bar della palestra, io non l'ho mai bevuto.

Guai grossi non ne sono mai accaduti o, meglio, uno si', un fattaccio da nera, ma io non c'ero e nessuno me lo ha raccontato. L'ho letto in rete, due anni dopo, e mi e' pure dispiaciuto per lo spavento che si devono essere presi.

L'estate passata, parlo del 2012 ovviamente, nello spogliatoio e' apparso un foglio A4 con scritto CI SCUSIAMO PER I DISAGI CHE POTREBBERO VERIFICARSI NEI PROSSIMI GIORNI PER TRASFERIMENTO ATTIVITÀ , frase a dire il vero piuttosto generica, sia in termini di ambito (che tipo di disagi?) che temporali (prossimi giorni quanti?) e causali (cosa significa trasferire un'attività?), ma oltre a questo sintetico quanto collettivo appello alla pazienza degli iscritti, non sono stato coinvolto in alcun tipo di comunicazione specifica, ne' a voce ne' per iscritto. Sintetizzo: se qualcosa stava per succedere, a me non l'ha detto nessuno.

Allora ho chiesto. Che cosa sarebbe successo, l'ho chiesto ad un trainer maturo (tanto da meritarsi l'appellativo di maestro, titolo che gli riconosco) che mi ha risposto: "La palestra si sposta". Mi ha detto anche altre cose, ma qui non le scrivo perché, come dicevo poc'anzi, io sono uno di poche parole.
La palestra si sposta. Ecco qual era il recondito significato dell'espressione "trasferimento attività". Pero', di questo spostamento, a me nessuno ha informato ne' mi ha chiesto se ero d'accordo o se mi arrecasse disagio. Nada de nada. Alla faccia della customer relationship. Ma come, io ti pago in anticipo per l'erogazione di un servizio in un luogo da me scelto e tu nemmeno ti prendi la briga di controllare che sappia che alzi i tacchi e te ne vai da un'altra parte? Ti pare gentile e corretto?

Dalle chiacchiere sulle panche dello spogliatoio ho poi scoperto di non essere l'unico ad aver appreso fortuitamente di questo trasferimento ne' di averlo apprezzato ben poco. E qui veniamo alla mia seconda ed ultima doccia fredda presso lo Sport Village: stavolta in senso letterale poiché, come accennato all'inizio, le caldaie avevano preso il volo.

In capo a poche settimane di mia assenza (sia per i disagi evidenti che per le ferie), della palestra rimanevano l'insegna e un portone sbarrato. A conti fatti, avevo perso 5 mesi di iscrizione pagata. Telefoni staccati. Nessuno a cui chiedere spiegazioni. Pure la pagina Facebook, su cui ricordo di aver cliccato Mi piace, era sparita dal social network.

Ma un pomeriggio di agosto ho incontrato, proprio nei pressi del fu Sport Village, la titolare o, per lo meno, colei che credo gestisse la società (come detto, non vado in giro a chiedere visure camerali); due chiacchiere al volo, per manifestare garbatamente il mio disappunto e sconcerto, ricevere una imbarazzata giustificazione ("Ma come? Le ragazze non ti hanno detto nulla?" -- ma quali ragazze, mi chiedo io) e una formale rassicurazione: "lo Sport Village si sta trasferendo in un altro locale, presso il Palazzo della Moda, e sara' riaperto non prima di fine settembre, ma stai tranquillo, ti contatteremo per email o per telefono e potrai recuperare i mesi di abbonamento".

Il Palazzo della Moda e' un condominio adiacente al Novotel di Corso Giulio Cesare, quindi non lontano dalla precedente sede e, per me, non disagevole ne' scomodo dal punto di vista logistico. Una buona notizia, no?

No. Perché  da quel giorno sono passato due volte nella ipotetica nuova sede, e in giro non c'era l'ombra di un manubrio o di un asciugamano sudato. Ma c'erano baristi e portieri. Se volete informazioni, i baristi e i portieri sono le risorse più  preziose a cui potete rivolgervi: primo, stanno li' tutto il giorno con gli occhi aperti; secondo, ascoltano un sacco di discorsi, quindi state tranquilli che se c'e' una novità  nell'aria, loro sono i primi ad annusarla.

Ai primi di ottobre, la mia prima visita; il bar sta chiudendo, e una ragazza graziosa a cui chiedo se sa nulla di una palestra, mi risponde sorridendo divertita, come a dire: campa cavallo.

Non metto briglie al mio ottimismo e torno a fine ottobre. Questa volta chiedo in portineria, ma l'antifona non cambia: stesso sorriso, nessuna palestra. Anche altre informazioni, che qui non scrivo perché,  come noto, sono di poche parole. Una cosa pero' la posso condividere: pare che la palestra risorgerà si', ma in un'altra zona ancora, nota come Cebrosa. Ottimo, sulla strada per casa; una buona notizia, allora?

No. Perché al succitato complesso produttivo di palestra hanno sentito parlare ma nel senso che non si farà, fine della faccenda. E anche qui, nella risposta, un malcelato sorriso sardonico.

Fine, quindi. Cosi' pare. E già. Un'attività chiude senza avvisare i clienti (soci) paganti, e buonanotte.
In questa faccenda, io ho una colpa, che e' quella di essere di poche parole: difatti in oltre due anni di frequentazione non ho scambiato molte chiacchiere, ne' tanto meno email e numeri di telefono, con gli altri soci iscritti, per cui non ho potuto ne' posso contattare nessuno per avere aggiornamenti.

Cosa rimane alla fine di questa storia? Facciamo una breve lista:
1. una perdita economica per i mesi di servizio non fruito, non una fortuna, ma occhio e croce stimabili sui 120-130 euro
2. la percezione di essere stato considerato molto poco, come cliente e come persona
3. una forte disistima nei confronti del personale operativo e amministrativo
4. last but not least, LA domanda: perché  tutti coloro a cui ho chiesto dello Sport Village mi hanno risposto con un sorrisetto?

Ecco, questa e' proprio la fine della storia. Adesso devo cercare un altro posto in cui allenare i miei striminziti 65 kg e in cui portare un po' di soldi. Sperando di essere trattato un po' meglio , come cliente e come persona. Sperando che, all'improvviso, non spariscano ne' le caldaie ne' le persone.

26 ottobre 2012

Perché non cambierò il medico di famiglia.

Del mio medico di famiglia vi ho già parlato su queste pagine. Uomo di poche parole, alcuni scritti e fatti quasi sempre azzeccati. Qualche volta ho pensato di andare alla ASL e sceglierne un altro. Senza una ragione precisa.
Frequento raramente il suo ambulatorio, a differenza di un numero elevato di persone che evidentemente hanno molti acciacchi o moltissimo tempo libero, e affollano la sala d'attesa ogni santo giorno.
Ieri ci sono andato. Ci sono dovuto andare. Perché da un mese ho un dolore al gomito che non passa. Uno dopo un po' si chiede se è tutto ok.
Mi siedo di fronte a lui. Non proferisce parola. Mi adeguo e silenziosamente denudo il braccio fino al bicipite. Dico cosa e dove mi fa male e da quanto.
Si alza, mi tasta, torna al PC. Mi mostra sullo schermo un sito web dedicato al gomito (sì, esiste), e lo fa con un intento didascalico, non perché non conosca l'articolazione.
Mi indica una roba apparentemente molle che si chiama borsa e che, sollecitata, potrebbe essersi infiammata. Quando gli dico che non mi ricordo di cadute e traumi, mi risponde: "Piersantelli, lei va in bici, magari ha sollecitato di più il braccio sinistro. Usi questo antinfiammatorio".
Ricorda il mio nome e che vado in bici. Per me è un bravo dottore.

10 ottobre 2012

Che cos’è Reddit (e perché in Italia non ha successo).


Scommetto che molti di voi si sono fermati per un istante alla quarta parola del titolo: Reddit. “Dove ho già letto o sentito questo nome?”
In questo articolo proverò a raccontarvi che cos’è Reddit, i motivi del suo successo negli USA, perché io ne sono un assiduo frequentatore e perché in Italia, a quanto pare, ha poco seguito.
Comincio con il dire che ho scoperto Reddit in tempi abbastanza recenti, quando nel 2009 Wired Italia ha iniziato a integrare nella propria homepage un pannello dove erano visualizzati gli “hot topics” del giorno (ovvero gli argomenti e le notizie più discussi sul web); la funzionalità era erogata da Reddit e la trovavo geniale perché in pochissimo spazio era davvero in grado di darmi suggerimenti sulle news più controverse o discusse in quel momento. Ho così deciso di abbandonare l’intermediazione di Wired e di visitare il portale Reddit: il punto di non ritorno!
Reddit è nato nel 2005 e da allora è in costante evoluzione, pur mantenendo una coerenza strutturale e funzionale. Ha aggiunto alcune caratteristiche e servizi, ha espanso le sezioni, offre profili premium ed è anche una piattaforma per l’advertising. Ne ha fatta di strada.
Affermare che Reddit è un social network sarebbe per lo meno restrittivo, o incompleto. Così come il termine “aggregatore” non rende giustizia al portale del piccolo alieno (non me ne vogliano i seguaci di Alien e i neofolgorati di Prometheus: per gran parte del popolo di Reddit, the Alien è quel piccolo omino sorridente che campeggia a fianco al logo).
Per rimanere abbastanza sul generale, si può dire che Reddit è una grande community che consente agli utenti di condividere link, opinioni, contenuti e notizie in tempo reale e quindi di conoscere, mediante un’interfaccia semplice, ciò di cui si parla (e si scrive, si vede, si legge, si commenta…) sul web. Questo fa di Reddit the front page of the internet, motto che non a caso è il titolo della home page.
Reddit si presenta come un portale dalla grafica semplice (sfondo chiaro, menu nella topbar, spazi pubblicitari circoscritti e ben individuabili) in cui sono elencate in ordine di popolarità le news del giorno. I corsivi sono funzionali:
  • i “redditors”, ovvero gli utenti del servizio, possono pubblicare link a notizie e contribuiscono alla popolarità dei contenuti pubblicati mediante un sistema di voto (upvote e downvote, i primi fanno “salire” le notizie in graduatoria, i secondi le fanno scendere, proprio come nelle classifiche) e un sistema di commenti. Più una notizia riceve upvote, più rimane in cima alla classifica, guadagnandone in popolarità. È dunque il web che decide che cosa è popolare del web.
  • ho usato il termine molto generico news: ma cosa c’è nella home page di Reddit? Link a notizie, immagini, video; post pubblicati su blog, tweet, idee, recensioni… in una parola, tutto quello a cui possiamo accedere con una connessione internet.
Oltre la home page, Reddit è diviso in molti subreddit, ovvero community tematiche create dalla redazione e dagli utenti (tutti gli utenti possono creare nuovi subreddit), accessibili dalla topbar. A seconda del subreddit selezionato (ad esempio PICS, POLITICS, VIDEOS) si possono visualizzare solo le notizie e i contenuti appartenenti a quel contesto; in PICS i redditor pubblicano e commentano immagini, in POLITICS si scambiano idee e opinioni su argomenti politici (pensiamo alle primarie negli USA) e così via.
A Reddit si può accedere come lurker (per leggere gli argomenti e scorrere le sezioni) oppure come utente registrato (e quindi scrivere, pubblicare, commentare e votare). La registrazione richiede meno di un minuto, un’altra idea vincente. Gli utenti registrati hanno anche un altro vantaggio: personalizzare il proprio Reddit (da quanto tempo stiamo parlando di personalizzazione dei portali in Italia?)
Per gli utenti registrati, Reddit è completamente configurabile. Si può scegliere la lingua del menu, filtrare la lingua degli argomenti visualizzati, gestire le sottoscrizioni per visualizzare o nascondere i singoli subreddit dalla propria home page. Il risultato è di poter accedere rapidamente alle sole informazioni rilevanti, sia nella pagina principale che nelle sezioni sottoscritte.
A qualcuno tutto questo potrà ricordare gli aggregatori di feed RSS della metà degli anni 2000. C’è del vero, ma fino ad un certo punto: i feed aggregator sono unidirezionali e non contemplano l’interazione di altri utenti. Reddit unisce almeno tre componenti: l’aggregazione di notizie, lo spirito delle web community e gli strumenti di una social network.
Vi è un esempio di portale che ricalca alcune delle funzionalità di Reddit: si chiama OK Notizie (ospitato da Virgilio) e consente di pubblicare e votare news (quindi aumentare o diminuire la popolarità).
Reddit negli USA è popolarissimo. E anche in Australia e nel mondo anglosassone in generale. Leggo molti interventi di utenti scandinavi e tedeschi. Gli italiani sono mosche bianche. Quando chiedo a qualche amico se usa Reddit, mi risponde puntualmente: “Uso cosa?”, una frustrazione in parte mitigata dal “of course I do!” degli americani a cui rivolgo la domanda. La sua popolarità è testimoniata da episodi che hanno superato i confini americani. Ad esempio quando ad inizio settembre il presidente Obama ha accettato di dialogare con i Reddit, o quando gli studenti del Virginia Tech hanno testimoniato in tempo reale su Reddit la tragedia che stava consumandosi lo scorso dicembre. Molti lo definiscono il migliore strumento di citizen journalism.
Sono solo pochissimi esempi della sua popolarità che, anche se può sembrare strano, si unisce ad un sentimento che potremmo definire di esclusività e appartenenza, ovvero: a differenza di social network come Facebook, basati sull’interazione e relazione costante tra membri, in Reddit i legami personali sono deboli e l’interazione è principalmente basata sullo specifico contenuto o link condiviso; per tale motivo, i redditors condividono un sentimento di (fiera) appartenenza che sconfina, con umorismo e goliardia, in un malcelato elitarsimo: sono decine le “storie” (sovente raccontate in vignette) della scoperta che il collega, il capo, la nuova fidanzata o il vicino di banco in biblioteca sono redditor e che, magari, frequentano e animano i subreddit più improbabili (lo sviluppatore che commenta le sacre scritture o la baby sitter dei figli che pubblica immagini nelle sezioni per adulti). In sintesi, se tutti sono su Facebook, dicono di esserci e fanno di tutto per farsi trovare, moltissimi sono su Reddit, si considerano dei privilegiati e si concentrano sui contenuti più che sulle relazioni (content is king!)
Si potrebbe parlare di Reddit ancora a lungo, ma tanto vale che ciascuno lo scopra e se ne appassioni. Voglio solo darvi qualche indizio su due dei subreddit che più frequento e apprezzo: f7u12 e IAMA.

Se di recente avete visto questa immagine da qualche parte, magari pubblicata sulla bacheca Facebook di un amico, e associata ad una situazione comica, ma non avete idea da dove venga, ve lo dico. E’ uno dei tanti meme nati su Reddit e diffusi in rete in questa sezione il cui nome FFFFUUUUUU richiama… un’esclamazione inglese non molto educata (cercate da voi). E’ un subreddit che ospita fumetti generalmente articolati in quattro tavole ed interpretati dai numerosi meme (il troll della figura, cereal guy, Jackie Chan ecc…) cui i redditors affidano il compito di raccontare situazioni generalmente grottesche, tragicomiche, frustranti o imbarazzanti che caratterizzano la vita di tutti i giorni (si va dagli approcci goffi con la ragazza carina del college all’imbarazzo nelle toilette pubbliche ma anche al dolore per la perdita di un amico). Anche qui sta ai redditors votare (e rendere popolare) i migliori fumetti.
IAMA sta per “I Am A” e Ask me about”: in questa sezione i redditor possono raccontare la propria storia o condizione e dirsi disposti a rispondere a tutte le domande che, spesso senza delicatezza o preamboli, gli altri utenti rivolgono. Gli AMA più ricorrenti ed apprezzati sono in genere quelli postati da appartenenti (o ex) a forze dell’ordine, corpi armati, società hi-tech come Google e Apple, scienziati, scrittori, politici; ma sono frequenti gli interventi di persone affette da malattie, anche imbarazzanti, o dipendenze da stupefacenti o comunque situazioni inusuali. Due motivi per apprezzare questi post: si leggono un sacco di storie interessanti (con un accettabile margine di menzogna) e si fa un ottimo esercizio per l’inglese “parlato” (slang, termini tecnici, gergo).
Sono tutti aspetti che rendono Reddit un portale di grande successo. Si potrebbero anche spendere due parole su un modello di business vincente (l’ingresso e l’uscita dal gruppo Condé Nast, la completa piattaforma di advertising, i profili gold a sottoscrizione, il network di altri siti “indie” ecc.) ma non voglio dilungarmi troppo.
Vediamo invece perché ogni volta che chiedo ad un amico se usa Reddit, la sua bocca fa una perfetta O di meraviglia e mi risponde che ha già un account Facebook.
  1. Reddit è solo parzialmente regionalizzato in italiano a livello di interfaccia utente e menu. E gli italiani, si sa, sono un po’ pigri con l’inglese.
  2. I contenuti più popolari e commentati su Reddit sono in lingua inglese o afferiscono alla cultura anglosassone (soprattutto americana), il che fa sentire il redditor italiano un po’ spaesato; vedi punto 1.
  3. L’interazione richiesta da Reddit è generalmente più articolata e complessa di quelle richieste da altri social network: partecipare alle discussioni richiede tempo e conoscenza. Non che da noi non si dibatta in rete, ma gli strumenti verticali (forum dedicati, blog, giornali ecc) raccolgono ancora molti consensi.
  4. Come si diceva, su Reddit Content is king e noi italiani amiamo più chiacchierare e curare relazioni che contribuire con strumenti di crowdsourcing.
Credo di essere giunto al termine della mia opera di evangelizzazione di Reddit. Nel frattempo continuo a cercare nei parcheggi e nelle strade automobili con l’adesivo Reddit Alien incollato sul paraurti per scambiare un’occhiata complice e compiaciuta con il guidatore, e magari riconoscerci con la parola d’ordine segreta. Per ora solo mele morsicate. Ma sono fiducioso.