26 marzo 2012

Sentiero 558, dal rifugio Trucco a Susa.

La volta precedente sul 558 era una fredda e umidissima giornata di ottobre, con nebbia e un'aria gelida che si intorpidiva mani e piedi, atmosfera suggestiva una vera tortura per frenare e impostare le traiettorie.
Sabato invece ci ha accompagnato un bel sole caldo, rendendo l'escursione veramente piacevole.
Il giro è noto: da Susa si sale su asfalto in direzione Roccia Melone e si arriva a quota 1706 dove c'è il rifugio il Trucco, chiuso fino giugno. La salita è 1260 metri di dislivello per una quindicina di sviluppo, con una pendenza costante che aumenta nell'ultimo tratto.

Un tratto della discesa verso Susa. Foto di Glaucos

Da lì inizia la discesa verso un gruppo di case sparse e quindi sul 558. Dati alla mano, il dislivello negativo è il medesimo della salita, ma lo sviluppo è di 5 km, il che significa, a occhio croce, una pendenza sempre superiore al 30%.
Il 558 ha due grandi pregi: l'esposizione sempre a sud e quindi sempre al sole, il che lo rende asciutto tranne brevissimi tratti nel bosco, e le caratteristiche del terreno: roccia, pietre smosse, qualche zolla di terra erbosa e, nei tratti riparati, le famose foglie a sorpresa, non sai mai cosa c'è sotto.
Tecnicamente, si trovano passaggi non banali (ostacoli di una certa altezza, tornanti con il solito ostacolo a fine curva, smosso) e non da' un attimo di respiro, ma e' ciclabile al 100% e non costringe mai a scendere dalla bici.
Il tempo di percorrenza varia da possibilità e capacità: sabato abbiamo risparmiato un po' su cazzeggio e fotovideo, per cui il tempo impiegato è stato: 3 ore per salire, pausa panino, 1:15 per scendere. Non sono tempi record, ma la discesa offre anche un panorama sull'arco alpino, per cui ogni tanto fermarsi e guardare ha il suo perché.

Di seguito la traccia interattiva su EveryTrail.


Sentiero 558: rifugio Il Truc - Susa.


EveryTrail - Find trail maps for California and beyond

20 marzo 2012

Chuck Klosterman. Il giorno in cui il rock è morto.

Voglio parlarvi di questo libro perché mi è piaciuto moltissimo. L'autore, il giornalista e critico musicale Chuck Klostermann, intraprende un percorso on the road alla ricerca dei luoghi che sono stati il teatro di eventi tragici legati al rock: dalla morte di una rock star all'incendio durante un concerto.
Invece di propinarci la solita galleria di biografie e cronaca, o -- peggio -- in una imitazione di Alta fedeltà, Chuck decide di raccontarci il rock -- una parte del rock, ed è quella che conosco meglio -- come colonna sonora della sua vita, dei suoi tormentati amori, della sua crescita come persona e come critico.
E va oltre il rock inteso come genere musicale: dalle pagine di questo libro emerge un ottimo ritratto della cultura pop in cui sono vissuti quelli della mia generazione (Klostermann è più o meno mio coetaneo).
Questo libro che andrebbe letto con un iPod o un PC a portata di mano per ascoltare le tantissime canzoni che sono citate, analizzate, commentate, demolite, celebrate, e leggere su Wikipedia la vita dei musicisti di cui l'autore va cercando notizie, aneddoti, luoghi.
Sarcastico, molto autoironico e -- vivaddio -- molto onesto (finalmente qualcuno che sostiene che Eric Clapton e i Doors sono gli artisti più sopravvalutati degli ultimi decenni), Klostermann ci restituisce una amara e malinconica storia di una subcultura che è in realtà anche la storia di molti di noi, una storia che senza quella musica forse non esisterebbe nemmeno, almeno così come la ricordiamo.
Chiude in bellezza la spassosa interpretazione delle proprie passate relazioni amorose attraverso i diversi personaggi dei KISS. Da leggere

13 marzo 2012

Sentieri e mulattiere sopra Borgone(Susa).


Le alture di Borgone e San Didero, nei pressi di Susa, offrono un comprensorio naturale per le escursioni in bici completo, con possibilità di discese divertenti su sentieri e mulattiere di difficoltà media.
Il giro di sabato è stato abbastanza lungo (1311 m di dislivello per 32 km di sviluppo) ed è stato diviso in due parti: una prima salita (su asfalto) da Borgone a Paviglione con discesa (su mulattiera e tratto in asfalto) su Chianocco; da Chianocco, di nuovo risalita su asfalto con qualche tratto di sentiero fino alla borgata Bianchi e quindi discesa su mulattiera fino a Bruzolo, infine collegamento con Borgone.
Con il senno di poi, il secondo tratto del percorso è più interessante in quanto assicura di compiere tutta la discesa in un contesto naturale.
Di seguito alcune foto della gita, il tracciato interattivo pubblicato su Everytail e il video delle due discese.




Alcuni tratti della salita su carrareccia

Borgone - Chianocco / Bianchi - Bruzolo





09 marzo 2012

Nando Dalla Chiesa, Lo statista Francesco Cossiga

Nando Dalla Chiesa è un professore e come tutti i professori che scrivono libri non riesce ad esimersi dal:
1. sfoggiare una non comune cultura e un eloquio cattedratico;
2. trasformare la bibliografia nella consueta gara a "chi ha letto di più" (il lettore può chiedersi se le opere di Shakespeare sono pertinenti ad un saggio su un presidente emerito della Repubblica).
Fine della premessa e delle critiche. Perché "Lo statista" è un saggio di sicuro interesse e una lettura appassionante. E' un libro -- ed è forse la qualità che apprezzo maggiormente -- di parte, nel senso che prende coraggiosamente (e con veemenza) una posizione ben chiara. Contro chi? Con poco spirito di corpo (l'autore è anche giornalista), il bersaglio principale di qesto saggio sono i giornalisti, la stampa, i mezzi di comunicazione, gli opinionisti che per decenni hanno sempre guardato con immeritata indulgenza e complicità cameratesca alla serie di atti e comportamenti ben poco istituzionali che Francesco Cossiga ha agito nella sua lunga carriera politica (parlamentare, sottosegretario, ministro, presidente della repubblica, senatore).
Per il mio diciassettesimo compleanno ricevetti un regalo che per me rappresentò una parte importante della mia formazione politica: La vendetta di Disegni e Caviglia, un libro che raccoglieva le strisce pubblicate su Cuore e Satyricon. Erano i primissimi e, inutile dirlo, le esternazioni di Cossiga trovavano ampio spazio nei mezzi di comunicazione; ma devo dire che se già allora giornali e tv mi sembravano scarsamente critici nei confronti di un presidente che, tra l'altro, era appena diventato protagonista del caso Gladio (un'iniziativa che di costituzionale ha ben poco); e trovavo invece nelle strisce di Disegni e Caviglia quella lucida cattiveria e quel richiamo alla ragione e alla coscienza che non trovavano spazio nelle pagine dei quotidiani. Nelle vignette, Cossiga era sempre rappresentato come un matto, ossessionato dalle cose militari (intento a giocare con i soldatini), dagli autonomi e dalla magistratura, e assistito amorevolmente da due corazzieri-badanti che lo inseguivano nei giardini del Quirinale.
Ecco, leggendo "Lo statista", mi sono tornate in mente quelle strisce che avevo imparato a memoria, quella rara testimonianza di quanto l'autore Nando Dalla Chiesa raccoglie meticolosamente nel suo libro, rammentando al lettore, pagina dopo pagina, i misfatti di questo politico che ha vissuto benissimo tanto nella Prima e quanto nella Seconda Repubblica, arrivando a ricoprire la carica più alta dello stato e tessendo al contempo alcune delle trame più anti istituzionali della nostra storia (gli attacchi alla magistratura, il ruolo nella struttura Gladio, le esternazioni opache sulla stagione delle stragi, le posizioni discutibili durante il rapimento di Moro, il ricorso al torpiloquio e alla stigmatizzazione degli avversari).
"Non mi mancherà", scrisse l'autore alla morte di Cossiga. Una frase che mi piace e forse l'unica (una delle poche) fuori dal consueto coro che si era levato all'indomani della scomparsa dell'ex preseidente: rammento che nelle pagine dei quotidiani e ai TG fu un rincorresrsi di ricordi (veri o presunti) da parte di amici (veri o presunti) e conoscenti, un cordoglio nostalgico, una nuvola d'incenso che spazzava via il puzzo di zolfo.
Non sarà stato Belezebù, quello è il ruolo del divo Giulio; ma non era un santo né un eroe. Eppure, per decenni, è stato in grado di strappare occhiate ammiccanti e sorrisi di compiacimento al nostro debole quarto potere, un complice, democratico pubblico plaudente.

17 febbraio 2012

G. Ayala, Chi ha paura muore ogni giorno.

Partiamo dalla fine: il libro non mi è piaciuto particolarmente; mi ha lasciato insoddisfatto rispetto alle aspettative che mi ero creato per il titolo e la sinossi. Ritengo che l'opera letteraria di Ayala (i cui meriti professionali non sono in discussione) sia in qualche modo un risultato, se non modesto, quanto meno non eccezionale per due motivi principali:
1. L'eccessiva autoreferenzialità della narrazione. E' vero che il sottotitolo dovrebbe giustificare i continui e compiaciuti riferimenti ai meriti dell'autore, ma -- come dicevano i saggi -- chi si loda... Ne emerge un racconto che, pagina dopo pagina, si fa un po' prevedibile e quasi infantile, con espressioni  "tutti i commenti erano per me...", "aveva per me un vero affetto", "anche quella volta avevo capito tutto". Ammetto di nutrire sempre un po' di sospetto verso chi cerca di portare prove e giustificazioni per affermare la propria autorevolezza: se c'è, si percepisce.
2. Lo stile "burocratese" della narrazione. La sensazione, arrivati all'ultima pagina, è che il dott. Ayala abbia scritto questo volume come ha scritto migliaia di pagine nella sua lunga carriera di magistrato. Se a questo si aggiungono i riportati di conversazioni tra colleghi, che l'autore non è riuscito a tradurre in dialoghi propriamente hemingwayani, ecco che la narrazione si fa faticosa, prevedibile, pedante.
Sollevato il velo stilistico, rimangono senz'altro i pregi della divulgazione di un capitolo fondamentale della nostra storia recente, la prima vera lotta dello Stato contro la mafia, vista dalla sua genesi, durante la sua massima forza (come il maxiprocesso) fino al suo declino, forse la parte più interessante per il lettore che può scorgere, nei capitolo conclusivi, il lavorio di un altro Stato, opaco e reazionario, quasi un'entità parallela impegnata nel disperdere la squadra di magistrati che aveva per prima, e a carissimo prezzo, osato sfidare cosa nostra, la sua struttura, i suoi giganteschi interessi economici.

13 febbraio 2012

Lo spam di SEO scambio opportunità.

Da inizio anno ho ricevuto un numero copioso di email molto simili se non addirittura uguali che recitano più o meno così:

Salve,colgo questa opportunità per presentarmi. Il mio nome è Linda e lavoro come manager SEO per Seosemaster.comFacendo una ricerca online per uno dei miei partner lavorativi, ho notato gpiersantelli.blogspot.com e sono certa di poterle dare un paio di suggerimenti interessanti.Da esperta SEO, gestisco un ampio portfolio di siti web di alta qualità che potrebbero esserle utili per incrementare il rank e e il traffico del suo sito internet.Se la cosa le interessa, sarei felice di mandarle maggiori informazioni e dettagli.Una buona giornata,Linda Miller linda@seosemaster.com Seosemaster.com

Di volta in volta cambiano il nome (fittizio) del mittente (Dona, Sandra, Fabio, ma potrebbe essere Orso Yoghi) e il dominio, che corrisponde di norma ad una scarna e imbarazzante paginetta web intrisa di luoghi comuni quali "Google è una grande realtà..." e "abbiamo molta esperienza...", di una banalità tale da far rimpiangere i discorsi del lunedì mattina al bar.
Diligentemente (e forse con una puntina di sarcasmo) ho risposto a tutte le email, chiedendo ulteriori informazioni. Risultato: zero. Fine della conversazione. Non ho potuto esimermi dal sollecitare una risposta che tuttavia non è mai arrivata.
Pur considerandomi un veterano del web, mi sfugge la dinamica di questo spam. Quale tentativo si cela dietro a queste proposte che si esauriscono in queste buffe email? Un tentativo di estorcere dati personali o soldi? La vedo difficile, anche perché questa opzione presuppone un'intelligenza che sembra mancare ai nostri fuoriclasse Linda, Dona e Sandra.
Credo che, per applicare il metodo del rasoio di Ockham, la risposta sia la più semplice: è un modo come un altro di rompere le scatole alla gente. Come quelli che si attaccano ai campanelli nelle notti d'estate.

09 febbraio 2012

La pratica del freeride e della medicina.

Il clima mite che dicembre ci aveva inaspettatamente regalato non sarebbe potuto durare a lungo, e come biker lo sapevamo, incollati alle previsioni meteo sul web e in TV. La neve, per quel sabato di fine gennaio, era prevista a bassa quota dalle 11 dal mattino. Eppure, guardando il cielo ancora sgombro di nubi, volevamo concedere ancora una volta una chance alla buona sorte anziché alla scienza della meteorologia.
"Figuriamoci se nevica già stamattina, e alle 11. I meteorologi sono approssimativi, si sa", penso.
Il programma è di quelli in versione ridotta, quando devi proprio essere seduto a casa per pranzo, doccia già fatta e zaino svuotato, senza appello.
"Saliamo a Superga da Moncanino, vediamo com'è su e scendiamo o dal 29 o dal 600", dico io.
"Il 29 no, che ormai ci manca solo la moquette", dice lui.
Lui è un amico con cui pedalo, e mentre ci arrampichiamo sul sentiero verso la panoramica, con le dita congelate e la schiena sudata, mi chiedo se hanno proprio tutti torto quelli che, in questo momento, stanno bevendo il cappuccino al bar.
Alle 11 siamo in cima. Ci fermiamo un minuto per rivestirci prima della discesa e cadono i primi fiocchi di neve. Sono le 11 e 00 e nevica. La neve ce l'aveva, quest'appuntamento. Mi figuro una schiera di meteorologi che ridono e si danno il cinque.
Il problema di Superga è il fondo. Per me è un mistero. E' viscido anche a luglio. Puoi trovare pozze di fango scivoloso come la cera per pavimenti anche se non piove da settimane.
La discesa si fa sulla 600, lungo il Sentiero degli Alberi. Appena perdiamo qualche metro di dislivello, la neve si trasforma in precipitazione meno solida e va a nozze con il fondo. Dopo aver chiuso, più per un caso fortuito che per tecnica, due tornantini in discesa, il sentiero diventa un single track in pendenza costante e si prende velocità. I freni è meglio non toccarli. Si sa che i Formula hanno un caratteraccio.
Poi arriva lei. E' la cunetta di fango che prende l'anteriore e lo porta a fare un giro dove non dovrebbe. In una frazione di secondo mi rendo conto di due cose: la prima è che non sto cadendo, sto volando; la seconda è che l'atterraggio farà più male del volo.
Così è. Mentre la bici prende una traiettoria che non avevamo concordato, il mio goffo tentativo di vincere la forza gravitazionale si conclude nella gola sotto il sentiero, contro il tronco di un albero; le mie costole contro la tua corteccia, mon cher ami.
Primo pensiero: "La bici, cazzo". Secondo pensiero: "Basta che non sia una vertebra, il resto si aggiusta".
Quando il mio sodale mi aiuta ad uscire da quel mezzo fossato, la bici è adagiata comodamente su un morbido letto di foglie e muschio profumato. A me manca il fiato e fa male un po' tutto. E piove, sempre più forte.


D'altronde, nella pratica del ciclismo si deve tenere in conto che qualcosa, prima o poi, interrompe quella fragile magia che è il nostro equilibrio; le cicatrici e i dolori sono lì a ricordarmelo.
E quando i dolori si fanno più intensi, decido che forse è il caso di dare un'occhiata alle ossa; sulla prescrizione si chiama RX torace.
Il medico radiologo, in forza al megapoliambulatorio convenzionato, che mi referta la lastre ha, a occhio e croce, dieci anni meno di me, una bella barba folta e un meraviglioso taglio di capelli alla moda. Bofonchia qualche termine gergale, che ovviamente non capisco, ma io so che la sua mente è altrove, che pensa all'happy hour e alle notifiche di Facebook. Sul referto c'è scritto "All'attenzione del medico curante", e questa non è una bella notizia.


Il mio dottore è un bravo dottore, ne sono certo. Ma ha molti mutuati, moltissimi, e poco tempo. La sala d'attesa è sempre gremita di pensionati ultrasettantenni in perfetta salute che si sbranano come pitbull in un incontro clandestino per passarsi l'uno davanti all'altro, anche se si va su appuntamento.
Il dottore non l'ho mai sentito parlare, né ascolta quello che gli si dice.
Abbiamo un accordo: si deve portare un foglio di carta con scritto il sintomo, vero o presunto; il dottore prende il foglio di carta, lo legge, e a seconda dell'uso che ne fa, si ottiene diagnosi prognosi e terapia. Se il dottore ne fa un aeroplanino e lo lancia verso l'armadietto dei medicinali può essere bronchite guaribile in giorni 5 con un fluidificante oppure infiammazione del nervo sciatico guaribile in giorni 7 con riposo e un antinfiammatorio. Se trasforma il foglio in una barchetta è quasi sicuramente una lieve forma di allergia alle graminacee, se può vada al mare, beato lei, io non ho ferie fino alla terza di agosto, e così via. Una specie di oracolo del sistema sanitario nazionale.
Questa volta non ho fatto a tempo a preparare il foglio e devo, mio malgrado, parlare. 
Espongo subito le radio e il referto, e pronuncio il numero massimo di parole consentite: Buonasera, esiti di trauma da caduta durante attività sportiva non agonistica. Dono della sintesi.
Lui è costretto ad ascoltare e a parlare. Una tortura. Guarda le lastre contro la lavagna luminosa, non legge il referto e, gesto inedito, si alza per tastarmi il torace.
"Caduto dagli sci?", mi chiede. In effetti, fuori c'è mezzo metro di neve.
"Dalla bici, dottore", rispondo io.
E qui accade l'imprevedibile.
Il dottore fa un passo indietro, sgrana i suoi begli occhi azzurri, che sembrano invasi da una luce nuova, inclina un po' il capo verso di me, e chiede: "Dalla bici? E' caduto sul ghiaccio?"
"Sul fango, dottore. Sono volato contro un albero. Più che altro ero preoccupato di aver fatto qualche guaio... alla roba molle che c'è lì dentro", dico io.
Ho usato l'espressione roba molle che c'è lì dentro. Ma si può essere più ignoranti? E usare i termini organi e tessuti, no?
Il dottore non si scompone. "Stia tranquillo, nulla di grave", dice, ma la sua mente è rapita da altro.
"Dov'era?", mi chiede.
"Superga, sopra Rivodora", rispondo.
"Rivodora... lì... ci sono anche dei rii... Con la bici, eh... E' caduto in acqua?", mi chiede, sinceramente ineteressato. Nei suoi occhi si intravede un sottile velo di malinconia, come un fantasma delle occasioni perdute nella routine della vita.
"No dottore, ma a pochi metri dal rio", rispondo. In quel momento, capisco che non gli è estranea la pratica del freeride, al pari di quella, nobile, della medicina.
Mentre mi rivesto, lo sento parlare tra sé "...in bici, Rivodora... la discesa!". Con un gesto a lui alieno mi accompagna verso l'uscita, facendosi largo tra la folla di ottuagenari che mena fendenti a destra e a manca e usa la dentiera come un improvvisato tirapugni.
"I sentieri di Superga... in bici!", mi dice candidamente, stringendomi la mano. E' il suo nobile commiato. Con quella stretta di mano, in realtà, mi sta già guarendo. 
Scendo le scale dell'ambulatorio ascoltando i miei passi scricchiolare sulla neve. 

05 dicembre 2011

Guarnitura doppia CTK Light 2012 e movimento centrale a cuscinetti ceramici – parte II.

Nella prima parte di questa recensione si è descritto le caratteristiche tecniche e il montaggio della guarnitura CTK Light, nonché alcune impressioni e valutazioni preliminari. Il test vero e proprio sulla guarnitura è stato effettuato in maniera estensiva, cercando di includere tutte le situazioni in cui il componente è utilizzato e quindi sollecitato. Sono stati scelti percorsi su strade asfaltate, su strade bianche, sentieri con fondo misto di terra e pietra e con fondo smosso; la percentuale di salita e discesa è stata di circa 60-40, quindi valori abbastanza uniformi.



Veniamo ad una sintesi delle principali evidenze riscontrate.

Piano o falsopiano asfaltato e rapporti lunghi. Il risparmio di oltre 300 grammi di peso rispetto alla guarnitura di primo equipaggiamento e la scorrevolezza di un movimento centrale nuovo, per di più a cuscinetti ceramici, si fanno sentire. Al pignone da 11 si arriva provando tutte le combinazioni e gli incroci di catena senza alcuna difficoltà.

Salita asfaltata ripida con pedalata fuorisella e rapporti medio lunghi. Almeno in linea teorica, è la situazione che comporta maggiori sollecitazioni per il componente in quanto alla propulsione della pedalata si aggiunge il peso del corpo concentrato sul singolo pedale durante la fase di spinta. Il movimento si conserva fluido e non si sono percepite flessioni della pedivella. Per aumentare la sollecitazione, ho chiesto ad un amico di escursione, che supera di poco i 90 kg di peso, di provare a spingere sui pedali senza risparmi: non sono state riferite flessioni percepite.




Salita sterrata ripida e rapporti corti (22-34). La spinta sui pedali e conseguentemente la trazione sulla catena sono relativamente costanti (le variabili sono ovviamente il fondo e i cambi di pendenza). La pedalata si mantiene fluida senza; non vi sono particolari riscontri.

Salita tecnica con ostacoli. È la tipica situazione di un sentiero o di una mulattiera in cui si alternano tratti relativamente spianati, da affrontare con pedalata agile, ad ostacoli il cui superamento richiede l’utilizzo di tecniche consuete del fuoristrada e l’applicazione di una spinta maggiore sul punto di contatto tra gli arti e la bici. Nuovamente, non si rilevano flessioni strutturali. È anche la situazione in cui un ostacolo sporgente può colpire la guarnitura; di certo la 36-22 è una doppia sufficientemente “piccola” da lasciare una luce da terra sufficiente a superare un gran numero di ostacoli senza che la dentatura venga a contatto con essi; tuttavia, nell’impossibilità di montare un bashring protettivo, occorre un po’ di cautela.


Discesa ripida su sterrato, posizione fuorisella. Soprattutto con biciclette front suspended e carro rigido, le asperità del terreno sono trasmesse quasi per intero dal telaio alle nostre gambe, passando per le pedivelle; anche a velocità sostenute e in presenza di ostacoli “assorbiti”, la rigidità percepita nelle pedivelle è notevole.

Discesa su tracciato tecnico. Come nel caso della salita tecnica, le sollecitazioni si concentrano maggiormente al superamento degli ostacoli.


Valutazione conclusiva.

Al di là delle catalogazioni, che lasciano sempre un po’ perplessi, la guarnitura (con i pedali), insieme al manubrio, è il nostro punto di contatto con la bicicletta, il punto in cui applichiamo la spinta e in cui potenzialmente si disperde una parte dell’energia spesa (attriti, flessioni). Molte delle valutazioni su questo componente sono certamente oggettive, ma altre sono più legate al feeling e alla resa che percepiamo durante lo sforzo che si traduce in energia cinetica.

La CTK Light 2012 è senz’altro una guarnitura leggera (tra le più leggere sul mercato, al primo posto nella stessa fascia di prezzo e a parità di dotazioni), progettata bene e realizzata con cura: la solidità complessiva e la resistenza a flessioni e trazioni ne sono, forse, la migliore testimonianza; in particolare, ha colpito positivamente l’accoppiamento delle camme eccentriche con le pedivelle: la lavorazione a controllo numerico con tolleranza bassissima ha reso possibile un accoppiamento delle parti pressoché perfetto, del tutto privo di giochi; il serraggio dei perni dei pedali è assicurato dagli spacer eccentrici, anch’essi di ottima fattura, interposti tra pedale e pedivella; una soluzione che unisce la solidità alla reversibilità del montaggio.
Se la si acquista per sostituire un componente di primo equipaggiamento, il risparmio di peso è notevole (nel mio caso oltre 300 grammi). Anche l’aspetto estetico ha avuto un ruolo importante nella decisione d’acquisto.

La valutazione dei materiali e delle superfici esposte o soggette a trascinamento confermano anche un buona resistenza all’uso in fuoristrada: non si sono riscontrati graffi o danneggiamenti superficiali. Per valutare l’usura della dentatura occorre comunque un test molto più prolungato.
In definitiva, a CTK Light si può riconoscere i pregi di aver condotto una progettazione accurata e di aver scelto un partner produttivo (Aerozine di Taiwan) con un esperienza più che consolidata nelle trasmissioni e in particolare nel segmento di componenti leggeri per ambito cross country, marathon e 29 pollici; è una strategia win-win perché consente di ottenere un prodotto di livello medio alto e qualità alta e di operare, al contempo, significative economie di scala (l’utilizzo di perni e di cuscinetti già in produzione), strategia che si traduce, per chi acquista, in un pricing aggressivo (grazie anche al minore costo del lavoro) oltre che in un prodotto solido, affidabile e gradevole.

Difetti riscontrati. Sul prodotto: nessuno. Sulla dotazione: la qualità della documentazione cartacea fornita è migliorabile.