10 giugno 2008

Ian McEwan, Chesil beach


Ian McEwan, Chesil beach

Tra un saggio e l'altro ho letto l'ultimo del mio paladino McEwan.
Mettiamo subito le cose in chiaro. Questo libero è una vaccata. Sono 140 pagine o giù di lì ma 20 sarebbero state sufficienti. O anche una presentazione in powerpoint. Sinossi: Inghilterra, primi anni 60, uno sposa una e scopre che a lei fa schifo il sesso. Fine.
Benissimo. Cos'era, un'edizione ridotta della Storia della società inglese? Un Non vedo l'ora che arrivi il 68? Mistero.
Alla quarta ripetizione della frase "spostando un capello immaginario" (una rappresentazione descrittiva dell'imbarazzo di uno dei protagonisti) ho capito che ne avevo avuto abbastanza.
Piatto, superficiale, pure un po' svogliato, questo libretto butta fango sui capolavori di McEwan, come Cani neri e il Giardino di cemento, che ho letto e amato moltissimo.
Peccato.

09 giugno 2008

La chiamavano Bocca di Losa ovvero Albaro massaggi.

foto by P. Piersantelli, 08/06/2008

La chiamavano Bocca di Losa
Metteva l'amole Metteva l'amole
La chiamavano Bocca di Losa
Metteva l'amole sopla ogni cosa

Per la serie la Cina è vicina, in questo caso è vicinissima, a pochi passi da casa dei miei a Genova.
Credo che una nutrita compagine di insospettabili professionisti stiano incrociando le dita perché la masseuse orientale non passi l'agenda degli appuntamenti a qualche giornalista ficcanaso.

Se la pungente prosa del quotidiano genovese non vi bastasse, pure Bruno Vespa si è scomodato per commentare la notizia.

Compagni di scuola -- Le foto.

C'è sempre un sentimento di emozione misto a timore, speranza, gioia e inquietudine quando capita di incontrare dopo un lungo periodo (in questo caso quasi 15 anni) le persone con cui hai trascorso gli anni delle scuole superiori.

Ora posso confessare che, dopo aver letto il mail che proponeva una cena di classe, per giorni non ho pensato ad altro. Febbrilmente. Domandandomi come sarebbe stato quest'incontro.

Penso di aver condiviso con non pochi il timore di trascorrere una serata un po' imbarazzante, aggrappandosi ai ricordi per l'incertezza del momento presente: quindici anni di vuoto non sono facili da colmare. Da un lato le aspettative di ritrovare lo spirito con cui si sono affrontati gli anni del liceo fino all'esame di maturità, dall'altro la paura del vuoto e del confronto.

Ma le paure si sono dissolte nel tempo di dirsi ciao e abbracciarsi. Abbiamo fatto posto alla voglia di riscoprirci e alla curiosità di conoscere le strade percorse, senza malinconia.

Vabbe', basta girarci intorno. Andiamo alle cose facete.

Come in ogni rimpatriata che si rispetti, non potevano mancare:
  • l'organizzatrice tipo ragionier Filini che tiene le fila, prenota, chiama, scrive, chiede conferma, sollecita
  • gli entusiasti che si presentano con mezz'ora di anticipo, passeggiano nervosamente davanti alla pizzeria e incredibilmente non si riconoscono per vari motivi (generalmente barba, pinguedine, calvizie incipiente)
  • l'irrintracciabile, di cui si ipotizzano le sorti più fantasiose, dall'arruolamento nella legione straniera al rapimento alieno (peraltro ampiamente documentato)
  • l'assente per malattia all'ultimo minuto
  • gli assenti perché non ce n'avevano voglia o sono rimasti traumatizzati da una battuta fatta in quarta liceo
  • il ritardatario coerente (ingresso a campanella suonata per 5 anni, come tradire le proprie radici?)
  • l'irriconoscibile (ma davvero sei proprio tu?)
Io mi sono collocato tra gli emozionati entusiasti e gli irriconoscibili.

Credo che meglio di così non potesse andare. L'organizzazione Filini ha fatto centro. Le 5000 lire della quota se l'è proprio meritate.

Un successo che non poteva non essere suggellato dall'album fotografico, compresa la foto di classe su due file. Per coerenza, le foto rispettano tutti i criteri del low quality e della tradizione "pizze di classe": abbondano, quindi, senza censura o ritocco alcuni, occhi chiusi, espressioni ebeti, bottiglie di acqua minerale, corna fatte da dietro e sagome di camerieri. Per vero, una piccola censura c'è, ma era proprio necessaria.

PS: La prossima reunion la organizziamo tra meno di 14 anni?

clicca sulla foto per andare all'album

Lunga coda (alla vaccinara)


Mercoledì prossimo sarò ospite del CATTID presso l'Università La Sapienza per tenere un intervento (lezione è una brutta parola) in tema di nuovi servizi video su IP. L'audience è la classe di un master in Tecniche per la multimedialità.
Ovviamente attingerò a piene mani dagli articoli di Chris Anderson, soprattutto il bellissimo pezzo sulla Free Economy e l'ormai fondamentale contributo sulla long tail.
Spero di essere più fortunato di Mantellini.

08 giugno 2008

Antonella Beccaria, Uno bianca e trame nere

Ho appena concluso il saggio Uno bianca e trame nere, di Antonella Beccaria (Stampa Alternativa, 2007), una lettura breve ma non per questo priva di complessità. L'autrice,
cui va riconosciuto il merito di aver raccolto ed elaborato una quantità notevole di testimonianze, notizie, atti e articoli, cerca di far luce su uno dei più inquietanti misteri della cronaca italiana.

Le rapine della banda della Uno bianca, i cui membri erano cinque poliziotti e un camionista, passano dai caselli autostradali alle banche ai supermercati, con azioni rapide e feroci, senza incertezze. Per anni risulteranno imprendibili, insospettabili. Fino a che altri due poliziotti, grazie ad un buon lavoro investigativo o a una soffiata, cominciarono a capire che i banditi andavano cercati in Questura, tra le facce dei loro colleghi.

Fin qui la cronaca. Ma c'è anche la famosa domanda che venne posta a Roberto Savi: "Che cosa c'è dietro la Uno bianca?" "Dietro la Uno bianca - rispose Savi - ci sono la targa, i fanali e il paraurti".

La risposta non ha convinto tutti e, ovviamente, nemmeno l'autrice.

Come suggerisce il titolo, il volume presenta l'ipotesi secondo la quale la banda della Uno bianca fosse qualcosa di più di un semplice gruppo di malavitosi dediti alle rapine e agli omicidi e che, in particolare, fosse legata ad ambienti della destra eversiva, dei cosiddetti servizi deviati, di organizzazioni stay behind e, infine, di una quinta colonna della criminalità organizzata di stampo mafioso.

Si delinea così l'ipotesi suggestiva di una banda armata organizzata militarmente e dedita a seminare terrore e morte, un manipolo di uomini espressione ed emanazione di un potere forte ed occulto, impegnato a mantenere un equilibrio e a contrastare l'ascesa di forze politiche comuniste o filocomuniste.

Un'azione terroristica volta a creare e mantenere un clima simile a quello che la strategia della tensione aveva provocato anni prima con le tante e irrisolte stragi degli innocenti? Un continuum di azioni efferate che sembravano godere, se non di una connivenza, di una certa protezione da parte delle istituzioni che per prime avrebbero dovuto indagare, scoprire, punire?

Uno bianca e trame nere non offre tuttavia la risposta univoca e definitiva all'interrogativo "Che cosa c'è dietro la Uno bianca?" Offre molte notizie, collegamenti, spiegazioni di avvenimenti complessi, ma non la risposta certa. E forse questo è il suo pregio, l'indice della serietà di questa scrittrice che non si innamora della propria tesi né cede alle facili soluzioni dei "servizi segreti deviati".

Tanto che alle ultime pagine del libro si finisce con l'essere persuasi dalle sardoniche parole di Savi: la targa, il paraurti. Una compagine di balordi , vigliacchi e assassini cresciuti in seno alle istituzioni che uccidevano e depredavano per pagare qualche debito arretrato, permettersi un lusso e sfogare istinti repressi di violenza e di morte.

Il difetto del volume, se così si può dire, di questo saggio è la mancanza di un profilo approfondito (biografia, esperienze, stato di servizio) dei componenti della banda: ad esempio, Eva Mikula, figura comunque centrale in questa storia, appare solo nelle ultime pagine e di lei è fornita una descrizione sommaria che lascia molti interrogativi.

Si tratta comunque di una lettura consigliata per chi vuole ricordare e riflettere su uno dei periodi più bui della storia recente.

Il libro, pubblicato (finalmente) con licenza Creative Commons, può essere acquistato in libreria o scaricato gratuitamente.

07 giugno 2008

Naja e stage estivi.

L'idea è una di quelle, poche, che mi trovano d'accordo: due mesi di naja, su base volontaria, durante le vacanze estive. Nell'ultimo decennio, tra esuberi, saldi di fine stagione e sospensione del servizio di leva, un numero tendente allo zero di maschi maggiorenni ha avuto a che fare con il sistema militare, una delle istituzioni più antiche della civiltà.

Ecco perché, in ordine sparso, farsi un po' di naja sarebbe una benedizione:
  1. la naja insegna che al mondo c'è e sempre ci sarà (con buona pace di anarchici e altri ingenui sognatori) chi dà ordini e chi li riceve, non importa se sono ordini saggi o completamente insensati.
  2. la naja insegna ancora qualche valore sano, se uno ha le orecchie aperte quel poco per fare entrare concetti semplici come rispetto, coraggio, patria, lealtà. Buttali via....
  3. la naja insegna che non esistiamo solo noi stessi con le nostre comodità, ma anche gli altri, con cui bisogna imparare a convivere.
  4. un'infornata di "stagisti" darebbe qualcosa da fare ad una compagine di sottufficiali rimasti circa disoccupati dalla sospensione del servizio militare.
  5. la naja fa stare all'aria aperta e dimenticare molte preoccupazioni.
  6. la naja fa conoscere amici che rimangono tutta la vita.
  7. ti vaccinano gratis e puoi
  8. la naja ti dà una gradevole anteprima di molte belle e brutte cose che prima o poi troverai sul posto di lavoro: persone insopportabili, professionalità, incompetenza, leccaculi, determinazione, impegno, orientamento all'obiettivo, capacità di lavorare in gruppo, assenza di meritocrazia ecc. ecc. Tanto vale, arrivare preparati, no?
  9. a naja ci si alza presto e di solito al grido di un caporale istruttore che sbatte gli anfibi sull'armadietto chiamandoti testa di cazzo. Detta così può non piacere, ma quando ti congedi alla fine ti manca.
  10. a naja si può anche mangiare discretamente. Certo, ci vuole un po' di fortuna, ma non è un evento così raro.
  11. la cioccolata dell'esercito italiano batte la cioccolata svizzera 3 a 0. Nessuna duscussione.
  12. a naja apprezzi il valore del tempo, sia quello che sprechi muffendo quando sei di guardia, sia quello che ricevi quando ti firmano la licenza.
  13. non so se i nonni, quelli cattivi, esistono ancora. Io ho fatto 140 flessioni al giorno finché non sono montato di vecchia. Ci avevo un torace che parevo Bruce Willis.
  14. se hai culo, ti puoi tenere gli anfibi, la mimetica, le magliette e la ginnica. Io ancora campo di rendita con la vestizione del 12° scaglione 1999.
  15. a naja impari che gli ombrelli non servono a nulla.
  16. il silenzio fuori ordinanza suonato a mezzanotte è qualcosa che ti ricordi tutta la vita.
  17. quando ti congedi puoi gridare "E' FINITA!" e sfottere le burbe.
Potrei continuare per ore ma mi fermo qui. Vi ho convinto?

06 giugno 2008

Metallica, il dibattito continua.


Il mio ironico (sì, era ironico) post sui Metallica continua a far discutere gli internauti e i lettori del mio blog, e questo non può farmi che piacere perché il dialogo è l'anima della crescita e della democrazia.

Poco importa se i 2/3 dei commenti al post sono insulti rivolti ai miei parenti fino al settimo grado e messaggi dove le K sostituiscono senza pietà le C.

Ho provato molte volte a puntualizzare che, essendo ormai grandicello, ho conosciuto i Metallica praticamente dal loro secondo album, e che negli ultimi vent'anni li ho ascoltati, cantati, indossati, visti dal vivo e penosamente suonati fino allo sfinimento.

Ma niente: ogni dieci minuti dai banchi delle scuole medie arriva qualche brufoloso e sboccato elemento che vuole insegnarmi e impormi cosa scrivere sui Metallica.

Ormai lascio correre. Non posso pretendere che la scintilla dell'ironia splenda in tutte le giovani menti che surfano il web cercando notizie sui loro ormai butterati e bolsi paladini del metallo.

Tuttavia, nel mare magnum degli insulti gratuiti, c'è anche chi -- complice l'età -- esprime con garbo il proprio punto di vista e motiva un eventuale dissenso. Per la serie riceviamo e volentieri pubblichiamo, ecco il bel messaggio che ho trovato nella mailbox questa mattina:
Ciao Pippo, sono Roberto, ho 38 anni e ti scrivo dalla provincia di Bergamo zona lago d'Iseo per intenderci. Questa sera per caso ho letto dei commenti sulle ultime produzioni dei Metallica rilasciati nel tuo blog dove ti sei un po' "beccato" con un altro tizio per delle cose che tu hai scritto sui "Ragazzi" che avevano un poco l'aria dello sputtanamento,o almeno così l'ha presa il nostro cavaliere senza macchia che ha subito ingaggiato una crociata nei tuoi confronti.

Beh io volevo solo farti sapere che secondo me avete un pochino ragione entrambi nel senso che tu hai scritto in senso ironico anche se un po' pesante manifestando la tua delusione (che è pure lamia visto che li seguo dal primo disco) per dei veri e propri miti del metal della nostra epoca ormai dispersi da anni in qualche landa desolata,mentre il crociato ti ha subito aggredito difendendoli col discorso dell'età, che a mio avviso ha si un pochino di senso, però è anche vero che altra gente anche più datata continua imperterrita a fare fuoco e fiamme quasi come un tempo.

Va beh dopo averti rotto i coglioni con tutta questa chiacchierata spero che tu sia con me nel confidare in un ritorno dalla landa dei nostri "Horsemen" e che finalmente ci diano qualcosa che somigli un po' allo stile Metallica e che ci faccia sperare in un pensionamento ancora accompagnati dal loro metal.

Ah dimenticavo,se dopo letto tutto questo mi vuoi mandare affanculo domandandoti "che cazzo vuole questo....." sappi che approvo anticipatamente.

Ciao e viva il metal,quello pesante pesante.
Caro Roberto,

grazie per avermi scritto. Non riceverai alcun vaff..., epiteto che lascio a quel mezzo comico di Beppe Grillo. Ci mancherebbe.

In più occasioni ho detto e scritto che -- è solo la mia opinione -- l'ultimo buon lavoro dei Metallica è And justice for all. Dal Black album in poi hanno perso rabbia, tiro, capacità innovativa e creatività compositiva. Ciò non scalfisce il mio viscerale amore per i primi 4 album e in generale la stima per questo gruppo, nonostante i comportamenti deprecabili nei confronti dell'ex bassista (colpevole solo di non essere Cliff Burton).

Ai Metallica auguro tutto il bene possibile per il nuovo album in gestazione. Lo ascolterò senza pregiudizi ma non nutro nemmeno troppe speranze: Load, Reload e St. Anger mi hanno fatto abbastanza schifo. A mio modo di vedere, i Four Horsemen possono solo migliorare.

Ciao e grazie

Pippo.

04 giugno 2008

Murderdog, il metal italiano rinasce dall'esperienza Detestor.

Uno dei vantaggi e dei privilegi di avere un sito è la visibilità sulla Internet e la possibilità di essere rintracciato, di solito con buone intenzioni.

Dopo l'articolo pubblicato sulla reunion dei Detestor, mi ha contattato Alessandro, storico membro fondatore, bassista e background vocalist del combo genovese per ringraziare (ci mancherebbe, Ale!) e per segnalarmi che l'esperienza e il sound dei Detestor non sono terminati ma continuano con un i Murderdog (la foto è la copertina del CD God Red Rum), un nuovo progetto musicale nato sotto l'egida benevola dell'etichetta Dracma Records di Torino.

Spero di poter recensire a brevissimo questo CD che attendo dai tempi di Red Sand, l'ultimo lavoro dei Detestor.

Nel frattempo vi ricordo che potete acquistare God Red Rum presso Masterpiece Distribution ad un prezzo più che popolare. Supportate la scena!

Murderdog - God Red Rum

1-Stomach forceps
2-Tooth inertia
3-Fistfuck
4-Mosquito bite
5-St.Peter's keys
6-The red line
7-I'm nothing
8-Vibro

Line up

Ale-vocals
Paola-guitar
Ale-bass
Teto-drums

03 giugno 2008

Le ceneri di un altro Gramsci.

Forse è troppo scomodare Pasolini per ricordare Kurt Cobain. Ma chi ha più o meno la mia età, è vissuto nel momento del massimo splendore, del declino e della morte di una delle icone incontestabili del rock moderno. Poeta raffinato, ironico e malinconico, Cobain protestava giustamente quando i media lo descrivevano come portavoce di una geerazione: era una responsabilità che le sue spalle ricurve e doloranti non potevano e volevano portare.

La sua musica, narrazione del proprio vissuto non priva di un contagioso autocompiacimento, ha finito per rappresentare involontariamente la voce di una generazione rimasta afona molto a lungo, in uno scenario musicale asfittico anche per colpa di un'industria discografica poco attenta e innovativa.

La parabola autodistruttiva del leader dei Nirvana, iniziata con l'abuso di ogni stupefacente, proseguita con uno sciagurato matrimonio e alcuni atterraggi sulla batteria di Grohl, è finita, come noto, con una fucilata in testa: quel proiettile calibro .22 lo ha consegnato, volente o nolente, all'Olimpo dei poeti maledetti.

Un matrimonio sciagurato, ho scritto. Se da un lato Kurt ammetteva che Courtney Love era l'unica donna che aveva veramente amato, io sono tra quei fan che ritiene che la signora Love sia tra le cause del declino di Cobain, o almeno della perdita di quella freschezza compositiva della sua vita di single.

Non basta che Love abbia tratto un indubbio vantaggio dalla morte del marito. Coerente con la sua incapacità di rispettarne l'eterno riposo, pare che si sia pure fatta rubate le ceneri del musicista, che conservava (chissà con quale cura) in una scatoletta.

Forse è meglio così. Una mente tanto aperta non poteva restare chiusa in uno spazio angusto. Speriamo solo che ora qualche altro sciagurato non metta all'asta le ceneri di Cobain o ne chieda il riscatto. Sarebbe troppo anche per lui che fece dell'autodistruzione e della mortificazione di se stesso una bandiera, uno stile, una ragione