05 febbraio 2007

Tornando a Genova.

Stavo scrivendo nel titolo Tornando a casa, come se continuassi ad associare Genova alla mia idea di casa, come se l'alloggio per cui pago un mutuo e litigo con la società dell'acqua potabile ancora non fosse casa mia. Poi ho scritto Tornando a Genova, forse è più discreto così. Casa.
E' venerdì sera e me ne sto qui, accovacciato su un sedile di un Intercity sporco come un diretto e costoso come un Eurostar, con La versione di Barney sulle ginocchia, seguendo il corso dei miei pensieri. Sto andando a casa, me ne sto andando da casa.

Mi accorgo di un'altra associazione di idee piuttosto ricorrente nella mia testa matta: se penso al passato, penso al '95-'96. Questi due anni, non pirma né dopo. Ho la consapevolezza che anche il 1993 o il 1982 appartengono al mio passato, ma li considero anni di passaggio, non di svolta. Dal 1995 ho cominciato a dare una svolta alla mia vita, sperimentando fin dove poteva arrivare non tanto il mio autolesionismo quanto la mia mancanza d'amor proprio - una mancanza d'amore che naufrangava nell'odio. Non posso stare a scrivere qui in che cosa la metà dei '90 era diversa da oggi. Posso solo dire né Internet né la Fluoxetina erano alla portata dei poveri cristi come me. Eppure si arrivava a fine giornata lo stesso.
Casa.

Mentre il treno si avvicina a Brignole, mi avvicino alla porta e mi dedico ad origliare i discorsi dei passeggeri. In uno scompartimento di donne sole (non di sole donne, si badi bene), una zitella piena di sé sta tenendo una lezione sul tema Come ho sconfitto l'emicrania trasferendomi a Casale Monferrato. La poveretta dice teatralmente di aver vissuto 7 anni a Genova e di aver sofferto, per ogni giorno che il Signore mandava sulla terra, di una terribile emicrania dovuta al vento. Proprio così. La vecchia zitella era ossessionata dal vento, e ora nella sua cascina di Casale ( 500 mq su 3 piani più 1000 m di giardino, informa la pettegola) trascorre un'esietnza felice e senza mal di testa. Vorrei avere un briciolo di coraggio per prenderla per il collo e dirle che il vento ripulisce l'aria, porta via le polveri sottili e le nuvole, alza la qualità della vita. Ma no, lasciamola marcire nella sua amata nebbia, e chi se ne frega.

Casa, dicevo. Ultimamente sento il peso degli anni. Non i quasi 32 anni sulla mia schiena, ma gli anni dei miei genitori. Quando si vive lontani da casa, il tempo perde il suo andamento lineare e si trasforma in una sequenza di eventi che si succedono ad intervalli non sempre regolari. Tra un evento e l'altro passano generalmente un numero sufficiente giorni perché mi accorga che il tempo ha lasciato qualche segno. Ovviamente, in questo film io sono solo uno spettatore in terza fila: osservo da seduto e, quando le luci si riaccendono, mi alzo ed esco dalla sala. Altro non posso fare.

Vorrei solo avere più tempo.

Ho divagato. Ho iniziato scrivendo di uno dei miei ritorni a casa, ma in realtà sono andato fuori tema. Non importa. Non c'è più una frustrata insegnante di lettere a mettermi un 4 sul foglio protocollo. Questa, anche questa, è casa mia.

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